Adriano Meliffi è un musicista romano. Fin da giovane ha sognato di fare della musica la sua professione, prendendo ispirazione soprattutto dalla musica classica, specialmente dal periodo romantico e impressionista. Durante l’adolescenza ha scritto numerosissime canzoni, mantenendole segrete in un cassetto. Dopo aver ottenuto una laurea in Scienze Naturali, ha intrapreso un corso di diploma in canto presso il Saint Louis College of Music, diventando successivamente insegnante in diverse scuole di musica a Roma. Ha avviato il suo progetto solista sotto lo pseudonimo ACo, pubblicando demo e sperimentazioni online. Nel 2016 ha pubblicato la playlist ACo(ustic) su YouTube, registrata live presso il Village Recording Studio. Nel 2017 è uscito il suo primo EP, “(N)”, registrato sempre nello stesso studio, che include sei brani originali. A partire dal 2020 ha iniziato a lavorare sul suo primo album, “Collezione di Arretrati”, un lavoro autobiografico che affronta temi come l’ansia e le sfide incontrate nel trovare il proprio posto nel mondo. A causa della pandemia e dei cambiamenti nella formazione della band, ha deciso di rinominare il progetto in AdriaCo.

Ciao, AdriaCo! Benvenuto su Rifugio Musicale. Diamo inizio a questa intervista con un aneddoto imbarazzante legato alla tua carriera musicale.

Ciao! E grazie per avermi virtualmente ospitato. Subito con l’imbarazzo? Bene, la prima cosa che mi viene in mente è una delle ultime successe. Primo concerto con la nuova band e sul palco io sempre un mezzo disastro, cado, faccio danni… Stavolta al primo pezzo, un errore nelle sequenze mi ha mandato fuori e nel panico ho cominciato ad agitarmi e ho fatto cadere il mixerino di palco poggiato sulla tastiera che suonavo, è finito sui tasti e sono partite note fisse di un synth fastidiosissimo. Il tastierista Alessandro ha cominciato a farmi segnali di fumo dalla sua postazione ma non mi ero accorto di nulla. Abbiamo dovuto interrompere il pezzo a metà e ricominciare da capo.

Come nascono le tue canzoni? C’è un iter che segui nella stesura di un brano? Arriva prima il testo o la tessitura musicale?

Non ho un iter, sono anzi piuttosto caotico e confusionario, ma nella vita proprio. Poi dicono che quelli della Vergine sono precisi. Io ci provo a tenere le agende e fare le cose per bene, ma non riesco a seguire un ordine, lo creo per distruggerlo. Di norma sono ispirazioni random nei momenti più inopportuni della giornata, appunti audio sul cellulare, a volte con frammenti di testo incompleti, poi cose scritte a matita da qualche parte, che ogni tanto scordo dove ho messo e poi tornano fuori dopo anni.

Quanto ti senti parte dell’attuale panorama musicale di tendenza?

Zero. Sono un dinosauro. Trovo un mio modo per esistere nel 2024, cerco ispirazioni anche nel contemporaneo, ma la tendenza è un’altra cosa, che in fin dei conti non mi interessa, non mi appartiene. Anche negli ascolti è molto raro che qualcosa di tendenza mi acchiappi, alla fine è così da quando ero bambino, a volte succede ma un conto è che mi diverta, un conto che la senta mia. A qualcuno arriverà, l’importante è quello.

Hai collaborato con Eulalia per l’arrangiamento di “Assedio”, che oscilla tra rock, dance-pop e tamburi da guerra. Puoi parlarci di come è nata questa collaborazione e di come avete lavorato insieme per creare l’atmosfera sonora del brano?

La collaborazione con Eulalia, che poi sono i fratelli Alessandro e Valerio Passi, è nata diversi anni fa. Alessandro aveva bisogno di una voce per un suo progetto sperimentale su una cover di Lonely World di Moses Sumney da presentare alla sua laurea al Saint Louis. Eravamo solo io, lui e il fratello e tutto veniva campionato live e in qualche caso loopato. Abbiamo deciso di dare un seguito all’esperienza registrandola poi in live session e il loro spazio creativo nel frattempo ha preso il nome di Eulalia. Parallelamente avevo bisogno di nuovi musicisti con cui arrangiare e registrare Collezione di Arretrati e ho proposto a loro perché avevo apprezzato la creatività e il sound che era venuto fuori su Lonely World. Ho dapprima lavorato con Alessandro che ha dato un’impronta più elettronica al disco, Valerio ha portato calore e grinta con le sue corde. Abbiamo lavorato brano per brano cercando sempre il vestito migliore, ragionando anche sui testi, ma lasciando spazio a quel pizzico di follia creativa estemporanea. Assedio è un po’ il mio punto di equilibrio tra ciò che sono stato artisticamente finora e ciò che sarà.

Il videoclip di “Assedio” è stato girato presso Ostudio e diretto da Marco Aquilanti. Puoi raccontarci di più sull’idea dietro il video e su come hai collaborato con il regista per portare in vita la tua visione artistica attraverso le immagini?

Con Marco è nata una collaborazione la scorsa estate, ci siamo visti un po’ di volte e abbiamo parlato, ipotizzato cose, a volte anche assurde e irrealizzabili. Come si fa tra artisti un po’ con la testa tra le nuvole (non a caso lui si chiama Nuvole Rapide), si condividono visioni, poi al come ci si pensa. Nel frattempo io stavo travasando un po’ di vecchi video dai nastri di mio padre sul mio computer, un momento nostalgico che mi sono voluto concedere. Dopo aver condiviso un paio di cose sui social, ci è venuta l’idea di utilizzare quel materiale per dei montaggi reel alternando a riprese del presente, per stabilire un rapporto tra ciò che sono oggi e ciò che sono stato, che è un tema importante nel disco. E il video di Assedio, che è dedicata alla mia famiglia, era perfetto per un montaggio più lungo di queste scene. Ostudio che si trova a Torpignattara a Roma, è uno dei tanti contatti fichissimi che sono arrivati tramite Marco. In un pomeriggio abbiamo girato il video di Assedio e quello di Amati, il singolo precedente.

Parliamo del tuo progetto discografico “Collezione di Arretrati”. Come si inserisce “Assedio” all’interno di questo lavoro più ampio e quali temi o messaggi condividi attraverso l’intero album?

L’album è un percorso di accettazione del cambiamento, dell’evoluzione che avviene diventando adulti e lasciandosi alle spalle tante cose . Assedio è un modo per dire addio anche al rancore. Non c’è più tempo per farsi male. “Bury the hatchet” come dicevano i miei amati Cranberries, depongo l’ascia di guerra, all’ansia del tempo che scorre rispondo con l’amore. Credo sia uno dei pezzi più importanti del disco. Amare se stessi e gli altri, senza paura di mostrarsi per quello che si è, anche vulnerabili, anche negli errori, anche nel caos.

Giochiamo: provate ad attribuire un colore alla tua musica.

Verde cinabro.

AdriaCo siamo arrivati ai saluti, ma lascio a te l’ultima parola: saluta i nostri lettori con una delle tue citazioni preferite! Ti ringrazio per essere stato con noi e a presto!!!

Una mia citazione mia? In tal caso sarà “Corro questo rischio, lo farò per me, per dire a me stesso che domani avrò fatto un passo”.

Una non mia? Vado sempre di musica, con Brunori Sas “Non sarò mai abbastanza cinico da smettere di credere che il mondo possa essere migliore di com’è”.

INTERVISTA