Si intitola Average il nuovo singolo targato Kreky & The Asteroids (Romolo Dischi — Pirames International). Il brano vanta la collaborazione di Carmelo Pipitone, chitarrista e co-fondatore del gruppo Marta sui Tubi e membro delle band O.R.K. e Dunk.
Average è fermarsi in mezzo a monti e pianure per guardare al passato e al presente, cercando di tirare le somme del proprio vissuto con molta onestà e semplicità. È una tregua, un respiro, una riflessione dalle sonorità semplici, che si avvicina alle melodie con accordatura aperta di John Fahey o a quelle di “Black Mountain Side” dei Led Zeppelin, su cui non poteva mancare la collaborazione con Carmelo Pipitone, Maestro di armonia e sperimentazione musicale. Average è accompagnato da un videoclip realizzato ai tempi della pandemia, un collage di filmati raccolti negli ultimi tre anni, come video privati e registrazioni in studio, insieme a Carmelo Pipitone, presso l’Hombre Lobo Studio.
Kreky & The Asteroids nascono a Roma nel 2018. Kreky è un cantautore e la band The Asteroids si chiama così su scelta del chitarrista. Adottano un nome composto proprio per la matrice anglosassone del progetto che affonda le sue radici nel roots rock statunitense, con un particolare occhio a Ryan Adams, Jeff Buckley, Springsteen e i Counting Crows. Dopo aver rilasciato i singoli “Dust” e “Sunflower” pubblicano in anteprima su Repubblica.it il video del brano “Mistakes”, con una coreografia e scenografia scritta dalla Gorillaz Crew di Sonny Olumati. Successivamente firmano con l’etichetta Romolo Dischi e pubblicano il singolo “Spotlights” che raccoglie ottimi consensi. A settembre 2020 pubblicano il singolo “No Apologies”.
Ciao Kreky & The Asteroids! Parlateci di voi: come e quando nasce il vostro progetto?
Nasce nel 2017, dopo un’esperienza nei Madden Waves. Insieme al nostro ex bassista Silvano, ci siamo subito messi a cercare gli elementi per formare un nuovo gruppo e continuare a suonare. Direi che abbiamo avuto fortuna.
Da quale background musicale deriva la vostra ispirazione? C’è un gruppo o un artista in particolare che reputate più vicino al vostro stile?
Veniamo tutti da generi differenti, ci incontriamo solo in rare circostanze, sui classiconi. Per quello che facciamo, i riferimenti sono quelli del roots rock/americana, dai The Band ai Counting Crows o Springsteen. Ma l’unica influenza vera è Ryan Adams, anche perché fa quello che vuole ed è matto, come noi.
Cosa non può mai mancare nelle vostre canzoni?
Bella domanda. In realtà non c’è niente di fondamentale. Qualche tempo fa Jimmy ha fatto un giro bellissimo all’hammond, per puro errore, immediatamente immortalato con il cellulare. Quella canzone è per 3/4 hammond e batteria. Un brano nuovo, scritto di recente, ha una bellissima melodia, acustico, ma è senza cantato (motivo per il quale sono arrivati vari insulti affettuosi da parte del produttore). Insomma, non c’è niente di fondamentale, i brani devono essere ciò che “loro” vogliono essere, altrimenti viene una schifezza.
Quali difficoltà incontra oggi una band che canta in inglese nella scena italiana?
Eh tante. Parecchie. Le etichette medio/buone ti dicono “non abbiamo spazio, ma se me lo fate in italiano, vi facciamo uscire con noi”, “canta in italiano che ti do una mano io”, ecc. Cose sentite per anni. Abbiamo ricevuto così tanti complimenti negli ultimi anni, che se si fossero tradotti in ascolti di Spotify (che ti paga una miseria), con gli introiti avremmo potuto registrare un disco nuovo. Il punto è che, anche stando nella “scena” e pur conoscendo molte persone dell’ambiente, essere ribelli/fuori dal coro/essere sé stessi, non paga.
“Average” è il vostro ultimo singolo uscito. Come nasce la collaborazione con Carmelo Pipitone? E se per un singolo futuro poteste scegliere un featuring con un altro artista, chi scegliereste?
La collaborazione con il Maestro Pipitone è frutto di una situazione al limite dello stalking. Dopo averci parlato alla fine di quasi ogni concerto fatto a Roma, dal 2004 in poi, abbiamo avuto la fortuna di aprire un live dei Dunk al Largo, grazie al premio vinto ad It’s Up 2 U, contest che si svolge al Largo Venue. Si ascoltarono il nostro demo mentre andavano alla data successiva, facendoci bei complimenti! E poi niente, gli è piaciuta Average ed ora potete sentirla tutti. Sia a livello umano che come musicista, è un esempio per noi.
Se potessimo scegliere un altro featuring, andremmo sempre a pescare nell’ambito internazionale, visto che Mello suona con gli oRK.
Sarebbe bello farsi produrre da qualche statunitense, più che altro.
Secondo voi in che direzione sta andando il panorama musicale italiano del futuro? C’è qualche realtà che vi appassiona particolarmente?
Prima, rispondiamo alla seconda domanda: No. Ora, alla prima: la direzione attuale fa un po’ paura. Produzioni mainstream scadenti, dinamica al minimo, pochi strumenti, testi semplici e banali, davvero il vuoto. L’unica cosa interessante è un certo tipo di elettronica che si è mischiata al cantautorato it-pop, ma li, la bravura è dei produttori. Al momento poi, essendo ancora in pandemia, è tutto fermo, ma alla fine torneranno i big e faranno piazza pulita nelle radio. Quindi, forse, si riconfermerà il trend degli ultimi anni, del nuovo cantautorato italiano, anche perché la scena indipendente è completamente soggetta al mainstream e questo, significa che non esiste una scena indipendente. Però loro fanno i soldi e chi come noi fa ciò che vuole, non vede una lira, quindi dobbiamo farci due domande.
Quale è stato il palco più emozionante in cui vi siete esibiti?
Forse il primo live, allo Zoobar, organizzato da Distortion/Dj Yakuza. La prima volta che suonavamo i nuovi brani, davanti alle persone a noi più vicine. È stato davvero bello.
Anche l’apertura ai Dunk presso il Largo Venue, ovviamente — per cui ancora ringraziamo Pepe Carpitella & Emanuele Binelli (It’s Up 2 U).
Ora, invece, svelate il sogno più grande dei Kreky & The Asteroids?
Quello di non doversi piegare al mercato, di non dover fare musica di merda, riuscendo però a camparci. E senza necessariamente dover rimanere in italia.
Quand’è, invece, l’ultima volta che la vita vi ha sorpreso?
Rispondo per tutta la band: quando ho portato un brano in italiano, credo.
Intervista di Giulia Massarelli